Inutile attribuire alla propria barca doti velocistiche che disubbidiscono alle leggi della fisica. Prima di entrare in planata una barca dovrà’ superare la velocità critica, poi lo stadio di semiplanata e solo dopo, se sono soddisfatte le leggi della fluidodinamica, potrà planare.
Ogni scafo in ragione della propria lunghezza al galleggiamento può calcolare la sua massima velocità in regime dislocante, denominata velocità critica. Vediamo come si fa. Per ottenere il risultato in nodi (miglia nautiche all’ora), la formuletta per il calcolo della velocità critica è semplice: √ LWL (lunghezza al galleggiamento in piedi) x 1,30. Per il P8, dove LWL e LFT (lunghezza fuori tutto) coincidono, il calcolo porta ad una velocità critica di circa 4 nodi.
Come funziona la planata? Per superare la velocità imposta dal regime dislocante, dobbiamo… levare il “freno a mano”. Quando si plana ciò che in pratica accade è che la barca non solca più l’acqua. Avviene invece che lo strato d’acqua a contatto della carena si appiccica allo scafo e viaggia con noi. Quindi l’acqua sottostante scivola su questo strato aderente liquido diventato “solidale” alla barca. Ciò riduce enormemente l’attrito, perché anziché avere uno scafo che scivola sull’acqua (situazione vera fino alla soglia della velocità critica), abbiamo uno strato d’acqua che scivola sul suo strato contiguo.
Per entrare in planata però si deve vincere una iniziale resistenza, come un jet che deve sfondare il muro del suono. Ma adesso basta teoria, saltiamo a bordo e… prepariamoci a planare!
Senza partire troppo da lontano supponiamo che i seguenti 3 aspetti siano già stati minuziosamente assimilati leggendo i rispettivi post:
- corretta regolazione delle vele;
- assetto longitudinale;
- controllo sbandamento.
Vediamo quindi come gestire al meglio il tutto per far sì che la barca inizi presto la planata e ci resti il più a lungo possibile. Innanzitutto serve velocità. Perciò planare di bolina strettissima è molto difficile (a meno di situazioni particolari, esempio bel vento e onda al giardinetto). Così come è difficile planare con l’andatura a farfalla di poppa piena, a meno di avere alle nostre spalle qualcosa di bello potente che ci rincorre (e in questo caso non è detto di avere tanta voglia di planare, ma piuttosto ci si concentra sul controllo e stabilità della barca). Vien da se quindi che le andature preferibili sono traverso e lasco, quando cioè la forza propulsiva delle vele che si sviluppa grazie contemporaneamente a pressione+portanza, viene in massima parte convertita in spinta utile.
La planata perfetta.
Allora siamo pronti? Dai, iniziamo… Condizioni ideali: abbiamo vento da NW di 14 nodi e 1 metro d’onda. Perfetto. Usciamo e per riscaldarci iniziamo con bei bordi di bolina stretta, in modo da avere sempre la nostra base di partenza/arrivo sottovento rispetto alla “zona operativa”. Qualche virata per prendere assetto e confidenza, manovrando anche in rapida successione per eseguire dei buoni esercizi di risveglio muscolare.
Dopo aver grattato il maestrale guadagnando un miglio buono di sopravvento, possiamo finalmente iniziare. Si poggia fino al traverso lascando le scotte (in poggiata SEMPRE prima quella della randa). La barca parte con un sussulto, accelera, ecco giungengere un’onda bella gonfia al traverso… la calvachiamo poggiando, ma questa volta le scotte non si filano. Perché? Semplice: l’accelerazione ha prodotto un repentino spostamento del vento apparente verso prua, quindi poggiando sull’onda, oltre a prendere profitto della sua spinta generosa, manteniamo le vele correttamente bordate con il nuovo angolo del vento. In pratica ci troveremo a navigare al lasco, ma con vento apparente (e regolazione delle scotte) proveniente al traverso/bolina larga.
L’effetto è sorprendente ed ecco che la barca continua ad accelerare cavalcando l’onda. A questo punto, se la planatona è seria, si dovrà probabilmente addirittura cazzare, soprattutto la randa, per restare il più a lungo possibile nella condizione di grazia. Anche il peso, al crescere della velocità, dovrà spostarsi verso poppa. Si eviterà così che lo specchio di prua schiaffeggi l’acqua producendo notevole attrito. O peggio che scendendo dall’onda la barca pianti il muso nel cavo, ingavonando un centinaio di litri in 1/2 (interminabili) secondi.
E’ andata così così? Allora sgottiamo e proviamoci ancora. Se questa volta siamo stati bravi e tutto è filato liscio siamo rimasti in planata sull’onda a lungo. Prima o poi però l’onda avrà la meglio e, liberatasi di noi, riprenderà il suo viaggio di nuovo sciolta e selvaggia. Inutile crucciarsi, lasciamola pure andare e andiamo a caccia della nostra prossima nuova beniamina e preda.
Innanzitutto constateremo che il rapido rallentamento avrà prodotto il ritorno del vento alle nostre spalle, quindi dobbiamo urgentemente ricominciare a produrre energia con la nostra centrale eolica di bordo. Duplice azione: scotte filate e si torna ad orzare, verso il traverso. Peso di nuovo in avanti, per conferire leggerezza alla poppa ed aiutarla a montare sull’onda: proprio quella nuova bella ciotta che abbiamo inquadrato golosi un attimo fa…
Da ricordare
Ok salire, scendere, skizzare, giù, su, dai, vai, vai…. va benissimo… ma ricordiamoci di verificare spesso la nostra posizione. Siccome giocando giocando siamo scaduti al vento, prima di risalire ancora sulla giostra è bene tornare a pedalare con bordi stretti di bolina per recuperare una buona posizione di controllo e sicurezza ad 1 miglio sopravvento (rispetto al nostro target di arrivo).
Infine gli ultimi consigli pratici sull’uso del timone. Quando la barca parte in planata, oltre a portare il peso indietro, uscite alle cinghie per evitare lo sbandamento sottovento e compensare così la maggiore pressione del vento apparente. Se manterrete la barca piatta il timone resterà neutro, richiedendo solo minimi aggiustamenti. Questo è molto importante perché produrre azioni decise sul timone in accelerazione è il modo più facile per creare un attritone che farà abortire la planata.
Nel caso le cosa siano andate storte e un’onda troppo cicciona vi sorprenda provocando una straorzata (orzata involontaria), fenomeno indotto da sbandamento sottovento improvviso ed eccessivo, anziché usare il timone come una clava (rischiando di fare danni) bisogna azionarlo solo per limitare il fenomeno. Reagite piuttosto per riportare la barca piatta il prima possibile e magicamente vedrete, dopo solo un attimo, che la barca tornerà da sola in rotta. Se ciò accadesse spesso perché le onde sono belle grosse, ricordatevi che randa filata e fiocco cazzato a ferro sottovento alla randa stessa, aiuta tantissimo.